Dal Workshop Raccontare per immagini con Giancarlo Torresani
Qual è lo spirito che muove la raccolta di foto per la realizzazione di un racconto fotografico? Un esempio è quello dettato dal gesuita Nazareno Taddei: «Il Racconto fotografico fa compenetrare le fotografie l’una nell’altra; ciascuna fotografia non può dire da sola quello che essa è chiamata a dire assieme alle altre, ma conserva questa carica espressiva che la rende esprimente per il fatto di connettersi con le altre». L’idea del racconto è la base di partenza, espressione anche della propria fantasia. La notte spesso porta buoni consigli. L’idea, generata con il supporto dei componenti della mia famiglia, era di fotografare le persone che ogni mattino passeggiano o fanno jogging sotto i 666 archi del Portico di San Luca a Bologna. Teoricamente sembrava una buona idea per realizzare un racconto: le luci dell’alba, le prime coraggiose persone ben coperte contro il freddo del mattino, il risveglio del sole, il ritorno presso le proprie abitazioni nell’ ora di pranzo.
Ma una buona idea rimane tale sino a quando non impatta con la dura realtà. All’arco del Meloncello c’è anche Roberto – compagno di corso e bravo fotografo – che ha avuto più o meno la stessa idea. Tanto originale quindi non poteva essere se tra tutte le chances che offre Bologna ci si incontra in due a raccontare la stessa storia. Falsamente ci diciamo che avremmo avuto due stili diversi di raccontare con le immagini diverse situazioni. Inoltrandosi per il Portico di San Luca arriva, inesorabile, la seconda ferale notizia: c’è qualche iniziativa che attira molti bambini, giovani e adulti. Molte persone, man mano aumentano, diventano “troppe”.
Aimè, l’idea di raccontare la solitudine del Portico, i passi che affondano gli scalini e il selciato di San Luca cade in un attimo. Il mio racconto è rovinato, o meglio l’unica idea poco originale partorita durante la notte è carta straccia. La gente cammina tumultuosamente, cerca di arrivare non si a dove. Bimbi che si predispongono in fila, giovani che si predispongono in fila, adulti che organizzano le cordate. Tra tanta gente non trovo nessuno che sa dirmi cosa accade.
I bambini cominciano a passarsi delle cartelle trasparenti contenenti delle bandire di diverse nazionalità, sempre più numerose; una, due, tre, … venti, trenta, …. «Io ho la bandiera rumena», «io quella inglese», .. «guarda qui c’è l’italiana». Bello vedere ragazzi sorridenti che si passano queste bandiere. Bello vedere tra i giovani ragazzi italiani e di altre nazionalità che si passano il testimone. Ancora più bella l’immagine di due giovani, probabilmente non italiani, che si passano con dolcezza una bandiera. Un messaggio di integrazione dissonante rispetto a quanto accade altrove o si sente nei media di comunicazione. Fa pensare che Bologna in fondo è un altro mondo. Occorre però produrre una nuova idea. Questa poteva in fondo essere una buona occasione. Ma cosa? Chiedo ad un “cortese” signore quale era l’iniziativa, mi risponde con a tono «ma lei non legge i giornali?». Aspetto a richiedere ancora. Proprio una giornataccia dal punto di vista fotografico; nel giro di circa 20 minuti era a accaduto di tutto. Un cartello dipana la nebbia informativa: “Passamano per San Luca” – “La storia siamo noi”.
Un ragazzo di scuola superiore mi spiega l’iniziativa. È il passamano con le bandiere del mondo, una catena umana che rievoca, e attualizza, l’iniziativa del 17 ottobre 1677 che vide i bolognesi portare di mano in mano i mattoni per la costruzione del portico di San Luca fino al Colle della Guardia.
Come allora la catena umana della solidarietà non si è interrotta. Si trasportano nuovi tipi di mattoni (le bandiere) per costruire non delle barriere ma dei nuovi ponti, simbolo solidarietà tra i popoli e all’impegno comune per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione patrimonio storico. Non c’è dubbio “La storia siamo noi”, le nuove generazioni!
Alessio Saponaro