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DOMANDE E RISPOSTE TEST ESAME

Ringraziamo Stefania Montanari per aver concesso l’utilizzo del suo test d’esame del 2010.

1) A cosa serve e dove si trova l’otturatore?                                             
L’otturatore è un dispositivo che regola il tempo di esposizione alla luce del sensore o della pellicola fotografica. Ne esistono di due tipi:
– OTTURATORE CENTRALE Di forma circolare, simile al diaframma, composto da lamelle in titanio leggermente sovrapposte. Si trova nell’obiettivo di diverse macchine fotografiche compatte.
– OTTURATORE A E’ così denominato perché originariamente era costituito da un pesante tessuto nero che scorreva orizzontalmente come una tenda. Attualmente è formato da due lamelle in titanio che possono scorrere orizzontalmente o verticalmente. Se il tempo di scatto impostato è lungo, una lamella parte e quando giunge quasi a fine corsa parte la seconda, determinando la creazione di un’ampia finestra che attraversa tutto il sensore. Se i tempi sono brevi le lamelle partono quasi contemporaneamente creando una piccola fessura che percorrerà il sensore. Si trova, in tutte le reflex, davanti al sensore.

2) A cosa serve e dove si trova il diaframma?

Il diaframma è un dispositivo di forma circolare che si trova nell’obiettivo. Serve a determinare la quantità di luce che entra attraverso l’obiettivo stesso. E’ composto da una serie di lamelle e si comporta come il nostro iride. “Dilatandosi” o “contraendosi” in base alla quantità di luce necessaria.


 

3) Che cos’è e a cosa serva il sensore?

Il sensore, presente nelle macchine fotografiche digitali, corrisponde alla pellicola fotografica di quelle analogiche. E’ ricoperto da FOTODIODI che hanno il compito di catturare i fasci di luce e le loro componenti cromatiche. Il numero di megapixel (corrispondente al numero dei fotodiodi del sensore) non sempre è direttamente proporzionale alla sua qualità. Vi sono piccole compatte con sensori di piccole dimensioni ed un numero elevato di fotodiodi. La loro qualità è certamente inferiore a sensori di grandi dimensioni con fotodiodi anch’essi di elevata grandezza.
Così come la pellicola fotografica aveva dimensioni di 36 mm x 24 mm, lo stesso accade per i sensori delle macchine fotografiche digitali professionali e di elevata qualità: le cosiddette FULLFRAME o a FORMATO PIENO. Il rapporto fra lato maggiore e lato minore è di 3/2 (scelto perché indicato come il più adatto per la visione dell’occhio umano). Vi sono poi sensori più piccoli, come i cosiddetti DX, che misurano (a seconda della casa produttrice) circa 24 mm x 18 mm. Il rapporto fra i lati è sempre lo stesso. Scendendo di qualità diminuiscono anche le dimensioni del sensore ed in alcuni casi cambia anche il valore del rapporto che passa dai 3/2 ai 4/3.

 

Nell’ qui sopra riportata vediamo le proporzioni fra  sensori di diverse dimensioni. La cornice esterna, bianca, indica un sensore fullframe, quella più interna blu un sensore  DX Nikon, quella rossa un sensore e via via fino a quelli delle più piccole macchine fotografiche e con rapporti diversi.

4) Che cos’è la messa a fuoco e come si controlla? Quali sono le modalità più comuni per fare la messa a fuoco? 

La messa a fuoco è il procedimento con il quale cerchiamo la distanza ottimale fra obiettivo (o meglio gruppo ottico) e sensore, al fine di ottenere l’ più nitida possibile, in base alla formula:

1/F = 1/i + 1/o
dove F = lunghezza focale;  i = distanza dell’immagine;  o = distanza del soggetto

La distanza dell’ è inversamente proporzionale alla lunghezza focale e alla distanza del soggetto. Quindi, se noi fotografiamo un soggetto lontano, l’immagine si formerà vicino all’obiettivo. Man mano che noi ci avviciniamo al soggetto da fotografare (spostandoci o zoomando) tale immagine nitida si forma sempre più vicino al sensore, fino ad una distanza tale oltre la quale non è più possibile effettuare la messa a fuoco. In questi casi è consigliabile l’utilizzo di un macro obiettivo, che consente la messa a fuoco anche a distanze molto ravvicinate.

La messa a fuoco può essere AUTOMATICA o MANUALE.
Quella automatica, a sua volta può essere di tue tipi:
– SINGOLO (Indicata per soggetti fermi) Premendo il pulsante di scatto fino a metà si effettua la messa a fuoco che rimane tale fino a quando non premiamo completamente il pulsante.
– CONTINUO (per soggetti in movimento) Premendo il pulsante di scatto a metà viene effettuata la messa a fuoco, che non rimane costante ma varia allo spostarsi del soggetto, fino al momento dello scatto.

Vi sono anche diverse AREE DI MESSA A FUOCO:
– CENTRALE –  Viene effettuata nel punto centrale del mirino. E’ utilizzata soprattutto in per mettere a fuoco particolari molto piccoli, come ad esempio i pistilli di un fiore o l’occhio di un insetto.
– DINAMICA – Permette, attraverso le freccette direzionali, di scegliere di volta in volta il punto di messa a fuoco ideale, che può anche non essere al centro dell’immagine ( ad esempio gli occhi in un ritratto)
– AUTOMATICA TOTALE – In questo caso è la macchina fotografica a stabilire la modalità di messa a fuoco
– 3D – Vengono automaticamente selezionati 13 o più punti di messa a fuoco ( a seconda del modello di macchina fotografica)

A volte, però ,non è possibile effettuare una messa a fuoco automatica, ed è necessario ricorrere a quella manuale.
Ciò può avvenire in diversi casi; fra i più comuni:
– Il soggetto è di colore uniforme (ad esempio il cielo o  il mare)
– Il soggetto è dello stesso colore dello sfondo
– Il soggetto si trova dietro ad altri elementi in primo piano (ad esempio un animale dietro alle sbarre di una gabbia)

5) Che cos’è la “modalità di compensazione dell’esposizione” e a cosa serve?

Ormai tutte le macchine fotografiche sono dotate di un dispositivo, l’esposimetro, che misura la quantità della luce presente. Ma non sempre questa misurazione avviene correttamente, oppure non soddisfa le nostre priorità sull’immagine.
Ad esempio, se si fotografa la neve la misurazione della luce non sarà corretta, ed avremo delle sfumature di colore tendenti al grigio. La stessa cosa accade per le foto scattate in spiaggia. In entrambi questi casi è necessario aumentare l’esposizione di 1 stop, o 1 e mezzo.
Può accadere, ancora, che scattando la foto ad un monumento o ad un paesaggio il cielo appaia “bruciato”, cioè eccessivamente sovresposto, mentre noi lo preferiamo più azzurro.  Per ovviare a questo è necessario di ridurre l’esposizione di 1 o più stop.

 

Nelle foto precedenti alcuni esempi di scatti con diversi stop di compensazione dell’esposizione.

Se invece di operare sulla compensazione dell’esposizione noi cerchiamo di modificare la quantità di luce agendo, ad esempio, sull’apertura del diaframma (supponiamo di aprirlo maggiormente per far entrare più luce), se stiamo scattando in modalità A (priorità di diaframma) il risultato non cambierà, in quanto ad una diversa apertura di diaframma, corrisponderà un diverso tempo di scatto( verrà automaticamente selezionato un tempo più lungo), lasciando inalterata l’immagine.

6) Che cosa sono i numeri F? Descrivete anche brevemente la scala numerica con passi di uno stop.

I numeri F indicano l’apertura del diaframma e sono ad essa inversamente proporzionali (maggiore è il numero F, minore è l’apertura del diaframma).
L’apertura del diaframma influenza la profondità di campo, quindi se stiamo facendo ritratti o è consigliabile un’ampia apertura di diaframma perché, riducendo la profondità di campo, lo sfondo viene sfuocato ed il soggetto posto in maggiore evidenza, eliminando possibili elementi di disturbo.

Al contrario, se stiamo facendo una fotografia ad un paesaggio è consigliabile optare per un diaframma abbastanza chiuso, in quanto la profondità di campo aumenta e si avranno maggiori dettagli nitidi all’interno dell’immagine.

In conclusione, l’apertura del diaframma dipende dal significato che vogliamo dare all’immagine. Se evidenziare solo un soggetto, o preferire descrivere anche la sua ambientazione.

La scala è la seguente:
1,8 – 2,8 – 4 – 5.6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32 – 45

I numeri F vengono, inoltre, usati per indicare la luminosità di un obiettivo.

7) Che cosa sono i tempi di scatto? Descrivete anche brevemente la scala numerica con passi di uno stop.

I tempi di scatto sono riferiti, invece, all’apertura dell’otturatore.
È molto importante scegliere il giusto tempo di scatto per evitare foto mosse.
Normalmente il tempo di scatto comunemente utilizzato è di 1/125 di secondo. Ma se il soggetto è in movimento è necessario ridurre tale valore. Ad esempio una bicicletta in corsa va immortalata almeno ad un 1/250, un’automobile in città ad 1/500, un treno ad 1/1000.

In entrambe queste foto il tempo di scatto è piuttosto veloce per avere un’immagine perfettamente nitida in tutti i suoi particolari e non mossa.
In generale, quindi, si utilizza un tempo di scatto più o meno breve a seconda della velocità del soggetto che vogliamo fotografare.

Ma intervenire su tali valori ci consente anche di ottenere particolari effetti fotografici.
MOTION BLUR – Se fotografiamo fiumi, onde del mare che si infrangono sugli scogli, zampilli d’acqua di una fontana possiamo decidere di immortalare l’attimo, oppure di donare un senso di fluidità all’acqua. In questo caso è necessario utilizzare tempi di scatto molto lunghi, e lo scorrere dell’acqua verrà reso con un “mosso” in contrasto con la fissità degli elementi circostanti. Questo tipo di fotografia è molto suggestiva ma deve essere scelta se ci sono elementi immobili di contrasto (ad esempio scogli o elementi architettonici di una fontana) e se la luce ambientale non è eccessiva. In questo caso, infatti, potrebbe non essere possibile scegliere un tempo di scatto sufficientemente lungo, anche a notevole chiusura di diaframma. È necessario, allora, utilizzare neutri di diverso valore in base alla luminosità presente.

 

SCIE LUMINOSE IN CITTA’ – Se vogliamo rendere il senso del movimento delle macchine che viaggiano veloci è possibile farlo utilizzando un tempo di scatto abbastanza lungo. Otterremo delle suggestive scie luminose colorate.

PANNING – E’ una tecnica che rende decisamente il senso del movimento, soprattutto per automobili ed altri veicoli. IL risultato, anch’esso piuttosto suggestivo, è un soggetto messo a fuoco su uno sfondo sfuocato. Si ottiene scegliendo un tempo di scatto molto lungo rispetto alla reale velocità del soggetto (anche 1/60 o 1/40 di secondo), programmando una messa a fuoco continua, uno scatto preferibilmente continuo e seguendo lo spostamento del soggetto con un movimento della fotocamera come se fosse su un perno rotante.


A differenza della fotografia delle biciclette precedentemente, qui il tempo di scatto è molto più lungo, per dare il senso di movimento offerto dallo sfondo sfuocato. Il soggetto rimane, invece, a fuoco, ruotando la fotocamera e seguendolo nel movimento.

La scala numerica dei tempi di scatto è la seguente:
30’’ – 15’’ – 8’’ – 4’’ – 2’’ – 1’’ – 2 – 4 – 8 – 15 – 30 – 60 – 125 – 250 – 500 – 1000

8) Che cos’è la scala di ISO e a che cosa serve? Descrivete anche brevemente la scala numerica a passi di uno stop.

Così come esistono fotografiche di diversa sensibilità, allo stesso modo nelle macchine digitali è possibile selezionare, per ogni singolo scatto, il diverso grado di alla luce del sensore. È una funzione molto utile, soprattutto nei casi di scarsa illuminazione, quando preferiamo non utilizzare il flash. È comunque consigliabile non eccedere con questo valore, in quanto livelli ISO piuttosto elevati determinano una certa sgranatura dell’immagine.
La scala numerica è la seguente:
50 – 100 – 200 – 400 – 800 – 1600 – 3200 – 6400

9) Che cos’è l’esposimetro? Dove si trova? Quali sono le tre modalità di misurazione della luce più comuni?

L’esposimetro è il dispositivo che misura la quantità di luce presente nella scena. Si trova nel corpo macchina dietro lo specchietto.
Le tre diverse modalità di misurazione sono:
– SPOT – La misurazione viene effettuata al centro del mirino
– SEMI SPOT o PONDERATA CENTRALE – Viene effettuata nel punto centrale e nell’area circostante
– MATRIX – Viene misurata facendo una media di tutta l’area.

La scelta di una misurazione piuttosto che di un’altra dipende dagli elementi che vogliamo evidenziare in una foto. Solitamente si utilizza una misurazione matrix. Supponiamo, però, di voler fotografare un monumento, in parte in ombra,  in una giornata di sole. Facendo una misurazione matrix otterremo un cielo azzurro, ma gran parte dei dettagli del monumento potrebbero essere sottoesposti, cioè eccessivamente scuri. Per evidenziarli è necessario misurare l’esposizione sul monumento e in particolare sui dettagli che più ci interessano. Essi verranno rappresentati al meglio, anche se il cielo, probabilmente, risulterà “bruciato”. Per ottenere lo scatto perfetto è indispensabile, in questi casi, creare un HDR. Ossia effettuare almeno 3 scatti. Uno con misurazione matrix , un secondo scatto ad uno stop in meno di esposizione ed un terzo ad uno stop in più. Fondendo tutte le immagini si porranno nella giusta evidenza tutti gli elementi della foto.

10) Come si può evitare il rischio del mosso se la nostra macchina fotografica ci indica tempi troppo lenti?

Il mosso può essere evitato:
– Aumentando l’apertura del diaframma
– Aumentando la ISO
– Se nemmeno ora i tempi ci garantiscono una fotografia nitida e non mossa, è necessario utilizzare il cavalletto

11) Quali sono gli obiettivi considerati normali? Quali i grandangoli? E quali i tele? Indica almeno tre focali per ogni gruppo e in quale campo fotografico vengono impiegati comunemente.

Sono considerati NORMALI gli obiettivi la cui lunghezza focale corrisponde alla diagonale del sensore. Per sensori fullframe, quindi, è normale il 50 mm, che ha un angolo di campo di circa 42° – 43°, la stessa dell’occhio umano.

GRANDANGOLI
Aumentando l’angolo di campo si passa ai grandangoli. Il loro angolo di campo va dai 60° fino addirittura ai 180° del “fisheye”, così denominato perché l’immagine ottenuta subisce una distorsione tondeggiante simile alla visione dell’occhio di un pesce.
Rientrano in questa categoria i 24 mm, i 20 mm, i 10 mm.
Si utilizzano prevalentemente in ambito architettonico per scatti sia all’interno (per fotografare ad esempio un’intera stanza) che all’esterno (per immortalare un edificio e non possiamo arretrare a sufficienza per la presenza, alle nostre spalle, di un altro palazzo.
Sono utilizzati anche per i paesaggi proprio per la ricchezza di dettagli che l’ampio angolo di campo consente di ritrarre.


Se l’angolo di campo si riduce rispetto al 50 mm, abbiamo i teleobiettivi. Tale valore sarà inferiore anche ai 20°.
Abbiamo, ad esempio, l’85 mm, 135 mm, 200mm, 300mm
Si utilizzano in campo naturalistico per fotografare animali selvatici (e poter mantenere una certa distanza da loro evitando di essere visti e farli fuggire), in campo sportivo (ed avere primi piani anche di azioni lontane) e, nel caso di piccoli come l’85mm, per ritratti ambientati e non.

Ovviamente queste considerazioni valgono per macchine fotografiche con sensore fullframe. Nel caso di sensori più piccoli è necessario moltiplicare questi valori delle focali per un parametro che dipende dalla grandezza del sensore. Ad esempio, per una con sensore DX 24mm x 18mm il parametro è di 1,5.

12) Che cos’è la profondità di campo e da che cosa dipende?

La profondità di campo è la zona nitida all’interno dell’immagine. Dipende da tre fattori:
– Distanza della macchina fotografica dal soggetto (maggiore è tale distanza, maggiore è la profondità di campo)
– Lunghezza focale (maggiore è la lunghezza focale, minore è la profondità di campo)
– Apertura del diaframma (Maggiore è l’apertura del diaframma, minore è la profondità di campo)

13) Che cos’è il WB, il bilanciamento del bianco?

L’esposimetro, come sappiamo, misura la quantità di luce presente.
Ma non è sufficiente. Dobbiamo considerarne anche la QUALITA’.
Se fotografiamo un soggetto bianco prima alla luce del sole, poi a quella di una candela, poi ancora a quella di una lampadina, otterremo tre immagini con tre diverse tonalità di colore.
Agendo sul WB noi suggeriamo alla macchina fotografica quale tipo di luce, e conseguentemente quale tipo di tonalità di colore, considerare.
Questo serve sia per rendere più realistiche le nostre immagini, sia per ottenere particolari effetti.
Ad esempio, se vogliamo donare un colorito dorato e caldo ad un volto, pur scattando all’interno, possiamo scegliere un WB impostato su nuvoloso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nelle due immagini precedenti vediamo le diverse tonalità di colore offerte dal bilanciamento automatico e da quello impostato su “nuvoloso”.
Oppure, se si vogliono immortalare suggestive montagne blu è sufficiente selezionare, invece, l’opzione “luce al tungsteno”.

 È interessante scattare scegliendo, di volta in volta, le diverse scene già presenti nella nostra macchina fotografica (sole, nuvoloso, ombra, luce tungsteno….) oppure agendo direttamente sui GRADI KELVIN, che misurano la qualità della luce.
In base a questa scala di valori i colori caldi tendenti al rosso corrispondono a bassi valori Kelvin. La luce della candela misura circa 1.900° Kelvin, quella di un tramonto 2.000°, il sole a mezzogiorno 5.500°.
I colori freddi, invece, tendenti al blu, hanno valori elevati. Il cielo nuvoloso misura circa 7.000° Kelvin , il cielo azzurro 11.000°.

14) Che cos’è la fotografica?

La è il rapporto delle cose all’interno dell’immagine.
Non cambia zoomando, ma spostandosi.
Se fotografiamo lo stesso soggetto frontalmente, dall’alto, dal basso otterremo immagini molto diverse fra loro, con diverse angolazioni, diversi elementi in primo piano, diverse luci ed ombre.
Quindi, cambiando la fotografica, non cambia solo la composizione della nostra fotografia, ma anche il suo significato, l’interpretazione che vogliamo assegnarle, il messaggio che la foto deve trasmettere.

15) Chi scoprì ufficialmente la fotografia? Dove e quando?

La scoperta della fotografia viene attribuita al francese DAGUERRE, inventore inoltre del dagherrotipo, a Parigi. Siamo nel 1839, 6 gennaio. A contendere tale primato concorrevano, però, sia il socio di Daguerre, Niepce, sia Hyppolite Bayard.

 

                    
                             
                          

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