Fino a qualche anno fa non era concesso ai Maldiviani creare strutture per ospitare stranieri a pagamento.
Appena ho scoperto che c’era la possibilità di soggiornare in piccole guest house gestite da Maldiviani ho deciso di ritornare alle Maldive, un po’ preoccupata per cosa avrei trovato dopo il passaggio di tsunami e nino, questa volta per cercare di vedere qualcosa di diverso: come vivono i Maldiviani.

Il mio compagno ed io abbiamo optato per un’isola all’estremo nord dell’Arcipelago delle Maldive nell’atollo di Haa Dhaalu: Hanimaadhoo.
Quest’isola lunga quasi sette chilometri e larga appena 700 mt è dotata di aeroporto ed è abitata da circa 1.800 Maldiviani.
Girando in bicicletta tutta l’isola tranne una piccola parte occupata da zona militare ho potuto trovare solo due guest houses: la nostra e una che era nata da alcuni mesi.
L’accoglienza da parte della popolazione è stata dapprima con reazioni di scherno, poi di indifferenza, poi man mano che passavano i giorni sempre più accogliente fino ad essere invitata in casa a prendere un caffè.
Oramai si erano abituati a vedermi passeggiare la mattina presto con la mia macchina fotografica e, avendo provato a partecipare incuriosita all’attività settimanale di un gruppo di donne che pulivano con le ramazze le strade e le parti comuni, gli ultimi giorni di vacanza ero riconosciuta dalla maggioranza delle donne del paese.

La religione musulmana si sta radicalizzando alle Maldive, come del resto in altre parti del mondo.
Alcune ragazze mi hanno detto in inglese (che rientra nel programma scolastico di base assieme al corano) che da un decennio le loro tradizionali acconciature sono cadute in disuso e che loro stesse si tagliano i capelli che ricoprono con lo hiyab.
In soli nove giorni purtroppo non ho potuto approfondire quanto avrei voluto la conoscenza e la comprensione del sistema di vita in quell’isola maldiviana; spero comunque di esserne riuscita a cogliere qualcosa di più che una visione turistica di un luogo esotico.